Luigi De Filippo, figlio di Peppino e nipote di Eduardo e Titina, è l’ultimo erede di una dinastia d’artisti che non ha tempo perché, al tempo, hanno lasciato in custodia una tradizione che rivive in ogni opera e si rinnova, quasi per magia, ad ogni esibizione. Un Verdi da sold out, ieri sera, ha accolto e reso omaggio al maestro De Filippo e la sua “Miseria e nobiltà” con una serie di interminabili e scroscianti applausi. Questo avviene immancabilmente da Nord a Sud ed è lo stesso De Filippo, che lo anticipa orgogliosamente, in una intervista concessa a poche ore dall’evento, a due passi dal proscenio e alla presenza dell’Assessore alla Cultura, Antonio Scialpi ed estimatori della sua arte accorsi anche da Bari. Inizia conversando di Paolo Grassi che “amava il teatro e la musica in particolare” , ci racconta del suo primo spettacolo negli anni ottanta sempre al Verdi che gli pare immutato negli anni e della sua alta considerazione per una città, Martina Franca, che si avvicina alla cultura in modo interessante e singolare grazie al “Festival della Valle d’Itria”. Poi entra nel merito del suo ultimo spettacolo e si lascia intervistare per saturno22.
“Miseria e nobiltà” ha più di cento anni ma non li dimostra…
“È uno spettacolo che ha un suo perché. Io l’ho riproposto oggi perché il protagonista è la fame. La fame che ha travagliato le nostre popolazioni centro meridionali da secoli, la fame di dignità, di riscatto sociale, la fame di lavoro soprattutto di lavoro. Il finale del primo atto di questa commedia, il momento più celebre con questi maccheroni in scena su cui i protagonisti si avventano, senza domandarsi da dove e come arrivano, avviene perché hanno bisogno di soddisfare questa fame atavica . La differenza è che 100 anni fa emigravano i contadini, i poveri ignoranti analfabeti e oggi se ne vanno i giovani diplomati o laureati per cercare un lavoro e non è una cosa bella! Questa commedia, in un modo umoristico e comico, parla appunto di questa fame atavica del centro meridione soprattutto. “Miseria e nobiltà” non è il dramma di due famiglie ma la tragedia di un popolo, questo finale va visto sotto quest’ottica. Inoltre è una commedia innovatrice perche Scarpetta, mio nonno, la scrisse per cancellare la maschera di Pulcinella che ormai non aveva più niente da dire al pubblico e creò questo personaggio, Felice Sciosciammocca, esponente della piccola borghesia napoletana che ebbe subito grande successo. Questa è forse la commedia più divertente, celebre e valeva la pena farla conoscere ai giovani d’oggi che, del teatro della grande tradizione napoletana, sanno poco. Chi poteva fare un‘operazione del genere, così intelligente? Un De Filippo! Questo spettacolo sta trionfando su tutti i palcoscenici, dal Nord al Sud Italia, il che dimostra che il pubblico viene al teatro ma vuole andarci quando trova qualcosa che lo interessa e incuriosisce. Il pubblico bisogna incuriosirlo, in modo positivo, e questa commedia assolve a pieno a questo compito”.
Luigi De Filippo nella sua carriera anche fiction di successo ma il teatro che ha vissuto e respirato fin dalla nascita è un’altra cosa! Se potesse definirlo quali termini userebbe?
“Il teatro è una magnifica bugia che ci ruba l’anima e ci fa sognare. Questo è, per me, il teatro per lo meno un certo tipo di teatro!”
Questa magnifica bugia la fa sognare ancora?
“Certo! Io mi emoziono tutte le sere che recito e vado in scena. Sogno spettacoli da creare, da fare e mi emoziono come i primi tempi. Se non ci fosse questa adrenalina, questa emozione sarebbe stato meglio cambiare mestiere. Io sono attore, regista, autore, impresario, gestore di teatro perché gestisco a Roma il teatro Parioli, che ho dedicato a Peppino De Filippo da 4 anni con grande successo, quindi tutte queste vesti io non le ricopro perché sono un megalomane ma perché sono stato educato a questo dalla mia famiglia, a calcare il teatro e a parlare di teatro. In casa mia non si parlava altro che di teatro. Da piccolino sentivo mio zio Eduardo parlare di progetti , di successi, insuccessi, gioie, dolori e la famiglia mi faceva partecipare a questa kermesse eroica. Erano gli anni in cui non c’era la televisione e quindi l’unico posto dove si poteva andare per educarsi, per divertirsi era il teatro insieme al cinema. Non c’era quell’apparecchio infame che si chiama televisione che entra nelle famiglie e diseduca non educa”.
A volte però può educare… Approva il teatro in tv?
“E’ sempre un bene quando si riesce a farlo, perché fa conoscere il teatro ai centri piccoli dove non arriverebbe mai. E’ sempre una bella cosa ma è la televisione che non mi piace, perché entra nelle case di tutti e propone una società riprovevole. I nostri figli non hanno valori e da grandi vorrebbero fare il calciatore o la ballerina per guadagnare un sacco di soldi senza doversi applicare tanto o studiare. L’ignoranza dei giovani d’oggi è abissale, se lei fa attenzione a questi giochini in televisione, agli indovinelli su geografia e storia non sanno niente, zero! Questo è sconfortante sarebbe bene che i giovani venissero più in teatro e vedessero meno televisione.
Lei ama tanto i giovani da aver creato la Compagnia “I Due della Città del Sole”.
“Nella mia compagnia sono tutti giovani sui trent’anni che io scelgo attraverso i provini che faccio e sono tutti appassionati di questo tipo di teatro, ed è una cosa bellissima. Sono tutti bravi, soprattutto hanno entusiasmo e credono in quello che fanno. In tutte le professioni, ma specialmente nell’arte, malgrado le difficoltà credere in quello che si fa aiuta ad andare avanti. In Italia la cultura è maltrattata, messa sotto il tappeto, la Cenerentola della società. La burocrazia, i cavilli ostacolano ed io lo so perché faccio il gestore di un teatro e dirigo questa compagnia. So che vorrei fare tante cose di bello ma non me lo permettono, perché mi mettono tanti di quei bastoni tra le ruote che devo rinunciare e, come me, fanno gli altri! Sono le istituzioni che sono lontane dalla cultura . Il 22 ottobre tutti i teatri saranno gratuiti ma gli attori, i tecnici, le maestranze chi li paga? E’ bello a dire ma è tutto molto discutibile. Proclamano innovazioni e cambiamenti, che ci auguriamo, ma le cose non andranno bene finché alla cultura saranno preposte persone che non conoscono i reali problemi”.
Intanto che le cose cambino, lei continuerà a fare teatro.
“Sempre. Per mio padre, Peppino De Filippo, il teatro era il racconto della lotta quotidiana che fa l’uomo per dare un senso alla propria esistenza. C’è l’amore, la gelosia, la miseria, la felicità. Di tutti questi sentimenti che abbiamo nel cuore, noi De Filippo, ne abbiamo fatto spettacolo e commedia che sono piaciuti e piacciono ancora!”
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