Mai dire 8 marzo

“Grazie a tutti gli artisti e gli ospiti che hanno accettato l’invito e per aver arricchito con la presenza, le parole, i colori la serata di ieri. Una serata davvero ricca di contenuti, una serata il cui scopo era quello di mettere in risalto la forza e la bellezza interiore delle donne. Volevamo trasmettere il nostro messaggio positivo ed evidenziare sensibilità e coraggio di osare. Pensiamo di esserci riusciti grazie all’apporto di tutti i partecipanti. E ricordiamo la donna va omaggiata 365 giorni l’anno”. Con queste parole Vita D’Amico, presidente dell’Associazione culturale Riflessi D’Arte ha voluto ringraziare tutti coloro che hanno dato vita all’incontro dell’8 marzo scorso “Donne è … tra cultura e imprenditoria”. Rosa Maria Messia ha dialogato con Anna Maria Montinaro, presidente nazionale del Presidio del Libro, e con Lella Miccolis, Amministratore unico Progeva S.p.A., mentre diversi artisti, tra poeti, poetesse, scrittori, scrittrici, pittori e pittrici (così non incorriamo nelle bacchettate di nessuno sul presunto sessismo della lingua italiana) hanno omaggiato la donna nelle su diverse sfaccettature. Il “padrone di casa” della M&D Group, Bruno Maggi, che ha ospitato l’evento, ha sottolineato come la donna debba essere protagonista anche nell’economia e che non bisogna mai smettere di sognare. Ancora una volta, però vogliano proporvi un racconto particolare per illustrare il tema della serata, sperando di fare cosa gradita.

(ph. Vita D’Amico©)

donna1Il colore viola, ovvero, Mai dire 8 marzo © 

C’è uno strano investigatore privato che da giorni si aggira per le strade della città. Si addentra nei vicoli più scuri e si avventura in androni nascosti dove gruppi di gente si riuniscono per cospirare… cultura. Tempo fa ha brillantemente risolto un caso apparentemente misterioso, smascherando con prove inconfutabili dei pazzi sognatori che si raccontavano avventure di vita (vedi: il racconto della notte dei racconti). Adesso è alle prese con una nuova indagine al di sopra di ogni sospetto, e per condurla ha assunto un travestimento impensabile quanto originale. Si è trasformato in una tela e si è messo a spiare una donna mentre dipinge. Attorno al quel quadro si sono alternati pensieri e riflessioni, poesie e discorsi, tutti con l’intento di capire perché l’otto marzo si parla di donne. Prima che uscisse di casa il suo assistente gli ha chiesto cosa intendesse fare. E lui ha risposto con una battuta di spirito tipicamente british: “oggi non lotto, m’arzo”. Si è alzato dalla poltrona ed è uscito dalla stanza lasciando il suo assistente esterrefatto. Ma adesso è lui a rimanere sorpreso da quello che ha visto e ascoltato. Ha sentito parlare di bambine spose, piccole vittime di una tradizione che qualcuno definisce cultura. Lui non deve giudicare, il suo compito è quello di indagare e raccogliere prove. Ebbene, i volti tristi di quelle bambine sono indizi evidenti di quanto questa pratica sia innaturale. Continuando la sua osservazione, mentre la pittrice davanti a lui lo fissa con grande curiosità, si è sentito scoperto. Ma poi ha tirato un sospiro di sollievo quando l’artista ha cominciato a usare il rosso per colorare lo sfondo del suo quadro. Una donna che corre inseguita da un uomo, interpreti di una tragica commedia dove il titolo è un ossimoro che non si può naturalmente accettare: vittima di un amore malato.  Ancora una volta un brivido ha attraversato l’animo dell’investigatore che improvvisamente si è sentito inadatto al compito che gli è stato affidato. Una donna sta dicendo che la parola amore potrebbe derivare dal latino che fa precedere dalla a privativa il termine mors, morte. In questa fantasiosa ricostruzione, amore è vincere sulla morte. Allora com’è possibile associarla a malato? Come può un uomo che dice di amare una donna annientarla nella mente, nel corpo e nell’anima fino all’estremo gesto? Questo è un ulteriore indizio, e anche se per la legge si è innocenti fino a prova contraria, è inconfutabile che togliere la vita in queste condizioni sia un atto che vada contro natura. La pittrice continua a dipingere. Adesso usa il colore viola per gli occhi di una giovane donna, occhi che si confondono con il mare infinito davanti a lei. Era uscita di casa per andare a una festa con le amiche, ma a casa non ci è mai tornata. Un branco l’ha braccata, circondata e violata nella dignità e nel suo essere prima ancora che nella sua intimità più profonda. Adesso il suo sguardo si è fatto cielo, e da quell’immensità continua a tormentare la coscienza di chi ancora una coscienza ce l’ha. Vostro onore, non abbiamo bisogno di ulteriori prove, dirà l’investigatore al giudice quando dovrà testimoniare. Si prenderà le sue responsabilità e parlerà non per sentito dire, ma perché avrà osservato dalla sua tela quello che le donne vivono giorno per giorno fin dall’inizio dei giorni. E se da questo otto di marzo che aveva preso in giro uscendo di casa si può ricavare un insegnamento, allora ben venga. Se si vuole usare il termine femminicidio per indicare che le vittime di tale abominio siano colpevoli soltanto del fatto di essere donne, allora usiamolo per condannare questo abominio che non ha giustificazione alcuna. Dagli indizi raccolti e dalle prove evidenti apportate dal testimone, il giudice supremo che si chiama Umanità potrà concludere con una sola sentenza. E se si vuole ancora usare il termine femminismo, che si faccia pure, ricordando quello che una donna ha affermato, con semplicità ma efficacia smascherante, all’assemblea delle nazioni unite:

“femminismo è la convinzione che uomini e donne debbano avere pari diritti e opportunità”.

Il caso è chiuso… O no?

Matteo Gentile ©

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