“Vissi d’arte”
di Matteo Gentile
Carmelinda Petraroli, per gli amici Linda, pittrice originaria di Torino che vive a S. Giorgio Jonico da quando era adolescente, ha ricevuto il primo premio nella categoria professionisti al Festival dell’Immagine che si è concluso recentemente a Martina Franca. In ballottaggio fino all’ultimo voto anche nel premio dei giornalisti, il dipinto “La luce nell’anima” è stato scelto tra 170 partecipanti soprattutto, ma non soltanto, per il potere espressivo del volto in esso raffigurato. Come spesso accade per gli artisti che si esprimono attraverso un’opera “esterna” a loro stessi, con pennello, tele e colori Linda è sicuramente più a suo agio che non di fronte a un taccuino o a un microfono che dir si voglia. Ma questo è piuttosto un pregio, poiché è sintomo di sensibilità e umiltà. Che sono doti non facili da trovare in giro.
Linda ci accoglie a casa sua, a S. Giorgio, tra dipinti, tele e fotografie che raccontano molto di lei e della sua passione per l’arte, ereditata dal padre, come ci racconterà lei stessa, ma coltivata e alimentata dalla ricerca del bello.
E allora, per questa chiacchierata-intervista, cominciamo dall’ultimo evento, ovvero dal premio ricevuto al Festival dell’Immagine. Come nasce l’idea del quadro?
“Innanzitutto ribadisco i miei ringraziamenti alla giuria e all’organizzazione del Festival e anche a voi di Saturno22 che vi interessate a me. Per quanto riguarda il quadro, mi ha ispirato tantissimo proprio il tema del concorso, ‘Viaggio tra i popoli del mondo’. Una bella sfida, impegnativa e stimolante. Lo stile è quello mio, adoro raffigurare i visi delle persone perché negli sguardi cerco di cogliere l’anima del personaggio, il suo vissuto. In quegli occhi di giovane madre che scappa dall’inferno ho cercato di cogliere tutte le sue sensazioni, dalla disperazione di dover fuggire, alla gioia di avere tra le braccia sua figlia, al senso di protezione verso di essa”.
Com’è stato il momento della proclamazione?
“Non me l’aspettavo proprio! Infatti sul palco ripetevo sempre le stesse cose, che ero incredula e felice e che non me l’aspettavo, anche perché le opere erano tante e di buon livello”
Partendo invece dall’inizio, come si svolge il tuo percorso di pittrice premiata come professionista?
“Io come carattere credo di essere umile, non mi sento nessuno. E questo sentirmi “piccola” anche di fronte alla figura di mio padre, che aveva raggiunto ottimi livelli, mi dà lo stimolo per migliorarmi e studiare per cercare di formarmi sempre di più. Ho iniziato a disegnare all’età di due anni, lo facevo in continuazione. Fino a dodici anni usavo pennarelli e soprattutto matite, lo facevo in classe, in ogni ora e circostanza. La mia adolescenza è stata un diario disegnato, più che scritto, trasformavo i miei sogni e le mie aspettative in fumetti. Poi, spinta un po’ dal mio papà, ho cominciato a provare l’uso dei pennelli e a colorare i miei prodotti. Inizialmente ero anche un po’ disinteressata, devo dire la verità, e il mio più grande rammarico, adesso, è di non aver interagito abbastanza con mio padre che ho perso quando avevo quattordici anni e lui appena quarantadue. Lui era un artista rinomato e stimato, professionista e maestro che seguiva pittori provenienti da tutta Italia. Io non gli stavo molto accanto in questa sua attività, e questo oggi mi manca molto. Però da lui ho ereditato il gusto per il bello e per l’arte, e la necessità di esprimermi attraverso la pittura in particolare”.
Da dove nasce questa necessità, oltre che da questo forte contatto spirituale con tuo padre?
“Ecco, sai quando ti senti incompleta, quando sembra che tu abbia tutto ma in realtà senti che ti manca qualcosa? Io per sedici anni ho lavorato in uno studio di architettura come progettista. Disegnavo hall di alberghi, ad esempio quella di un noto albergo di Martina Franca è opera mia, camere, interni. Però, malgrado in un certo senso trovassi uno sfogo al mio bisogno di creatività in questi lavori, mi sentivo sempre incompleta. E così, man mano ho capito che la pittura era il mondo dove potevo trovare non dico appagamento a questo mio bisogno interiore, ma quanto meno un mezzo per trasmettere emozioni realizzando qualcosa di mio e di personale”.
Dicevi che ti colpiscono soprattutto i volti.
“Soprattutto, ma non soltanto. Mi possono colpire tante altre cose, ma spesso sono dettagli in un insieme più ampio. Ad esempio, in un tramonto, per quanto bello e suggestivo, mi può colpire più un fiore che sbuca in un angolo o il particolare di una costruzione su cui si riflette il sole o che proietta un’ombra”.
Il tuo percorso di studi è stato dunque mirato alla pittura e all’arte in generale?
“Sono nata a Torino dove ho frequentato le medie. Poi, dopo la morte del mio papà, con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Pulsano, il paese della mia mamma, e ho frequentato l’istituto d’arte di Grottaglie nella sezione della ceramica. Avrei voluto fare l’Accademia d’Arte, ma la vita a volte ti fa fare scelte diverse, di cui ovviamente non mi pento”.
Ma c’è qualcosa nel mondo artistico o in generale da cui prendi spunto per le tue opere? Cos’è che ti colpisce maggiormente?
“Inizialmente l’ispirazione la prendevo dagli artisti surrealisti, anche perché mio padre lo era. Poi ho creato gradualmente una mia personalità e mi colpisce tutto ciò che è natura. In generale, tutto ciò che mi fa star bene e tutto quello che mi suggerisce positività da trasmettere agli altri attraverso le mie opere. Nel mio vocabolario amo le parole ‘tranquillità’ e ‘serenità’, non amo rappresentare la disperazione e lo sconforto. Infatti, nel quadro premiato al concorso volevo trasmettere speranza e voglia di rinascita. Forse perché voglio trovare pace e serenità dentro me stessa, visto che mi sento spesso inquieta”
Hai un autore preferito?
“Amo molto Manet che con la sua arte impressionista sa cogliere l’attimo, le sfumature, le varie luci, anche se non cerco di imitarne lo stile. Non amo l’iperrealismo esasperato né la pittura fotografica, perché amo in un quadro il tocco dell’artista che lo rende differente dalla realtà, pur rappresentandola. Insomma, mi piace che l’arte abbia una vita propria rispetto alla realtà”.
Ma per te l’arte è vita, oppure vivi per l’arte?
“L’arte mi fa vivere, indubbiamente. Se non ci fosse l’arte, io non vivrei. Non riesco a stare lontana dai miei quadri per troppe ore, nonostante i mille impegni di donna, madre, moglie”.
Come nasce un quadro, in questa tua vita d’arte?
“Diciamo che lo stimolo principale, oltre che da questa mia voglia di esprimermi, nasce dai vari concorsi che mi costringono, in un certo senso, a concentrarmi su un tema e a darmi una traccia dove incanalare la mia creatività”.
Nessuna rivalità con gli altri pittori, quindi?
“In realtà non vivo affatto la rivalità. Certo, in un concorso c’è anche il fattore della competizione, il mettersi in gioco, ma non mi sento rivale di nessuno. Non credo di essere invidiosa, anzi tendo a prendere il meglio dagli altri, cercando sempre di cogliere gli aspetti positivi senza dare alcun tipo di giudizio negativo nei confronti di nessuno. O almeno, credo di non farlo!”
Credi che l’arte possa avere una funzione sociale anche nella vita di tutti i giorni?
“Io credo di sì. Almeno, io cerco di dipingere per dare delle emozioni agli osservatori, per cercare di donare dei momenti di riflessione e di serenità. Poi, se ci riesca o meno, sta agli altri dirlo”.
La cosa più bella nella vita?
“Sicuramente i figli. E subito dopo la pittura”
Per concludere, tre parole per definire Linda Petraroli?
“Oddio… sono molto pignola, ma anche complessa, un po’ lunatica, irrequieta, direi in tempesta. Però alla ricerca della serenità”.
Ci congediamo così, con questa immagine di un mare in tempesta. Una tempesta di emozioni che cercano di trovare spazio sulle tele. Un po’ come Tosca, quindi, che visse d’arte e di affetti umani. Con l’augurio di cercare sempre la serenità là dove essa a volte si nasconde.
Scrivi